Si dice che il tempo non esiste, se non come misura umana per collocare le nostre attese, i nostri desideri e i nostri ricordi. Senza volere scomodare secoli di riflessione filosofica e scientifica sul significato del tempo, noi ci accontentiamo del calendario che, a breve, segnerà la fine del primo ventennio del terzo millennio. Tra poco la nostra distanza dal Ventesimo secolo sarà calcolata in due decenni. I nostri primi anni venti. Se quelli del novecento furono scanditi dal furore delle macchine elettriche, dall’avanzare delle grandi ideologie che produssero fuliggine e ardore bellico, oggi, i nostri anni ‘20, sembrano liquidi e sfuggenti, come se il processo di automazione degli uomini e delle cose fosse arrivato ad un punto di non ritorno. Eppure oggi più che allora ci sembra di vivere dentro un grande processore che sintetizza passato e presente, che può dare luccicanza alle cose del tempo trascorso e farcene rivivere le vicende con un semplice touch screen. Un passaggio epocale. Anche se un’epoca non passa mai, continua ad esistere sotto altre forme e rinascere ogni volta che noi lo vogliamo. Oggi siamo Demiurghi del nostro tempo e di tutti i tempi che si sono succeduti. Questa è la più grande illusione che la tecnologia ci ha inculcato.
Il nuovo secolo esce dall’adolescenza e inizia la sua giovinezza, dentro un panorama confuso e senza certezze. Si muove in un territorio nomade, post digitale, in cui tutto è luccicante e straniante. Eppure è importante dare fiducia a questo nostro tempo. I valori non hanno posti assegnati. Si possono sempre ritrovare in qualsiasi luogo, persino in certi spazi imprevedibili che tocca a noi individuare. E’ il nostro augurio perché il nuovo anno sia pure un anno nuovo.
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