A sei anni dalla scomparsa del filosofo siciliano note su “Del delitto” di Manlio Sgalambro

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L ‘ autentica filosofia ha una carattere sovversivo. Essa infatti, irrompe nei processi ordinari del pensiero e lentamente ma inesorabilmente ne scardina le certezze, ne certifica la banale meccanicità. Il meditare ardito e puntuto, quindi, non deve tenere conto delle attese del lettore, non ne deve assecondare i desideri se vuole raggiungere i suoi obiettivi. Da decenni Manlio Sgalambro si muove tra le grandi ombre della filosofia occidentale
(Kant, Schopenhauer, Descartes) delineando i tratti di un cammino concettuale che non appartiene a nessuna scuola o sistema di pensiero conosciuti. La forza del suo stile, l’ argomentare cristallino e potente, bastano da soli a produrre nel lettore una scossa salutare, vero e proprio antidoto contro l’ omologazione. Nel suo ultimo libro, intitolato “Del
delitto” (Adelphi editore, pagine 182, 13 euro), Sgalambro accende i riflettori su un tema trascurato ma emblematico: il delitto, l’ assassinio. E lo fa da par suo avvertendo subito il lettore che questa nuova avventura speculativa tiene conto dell’ assunto di Montaigne, il quale, nei suoi Essais, scriveva «sono io stesso la materia del mio libro» sperimentando un metodo che teneva conto del costante confronto con l’ esperienza degli antichi. Questo viaggio nella parabola del pensiero, in compagnia di Isabelle – alter ego e sodale benefattrice – ha come meta la ricerca delle origini del delitto sullo sfondo delle vie di Parigi («Parigi era stata per il delitto un laboratorio meraviglioso, simile a quello che fu Manchester per Il capitale. “Non è forse a forza di omicidi che la Francia oggi è quello che è?” osserva un sadiano. Egli allude agli omicidi “politici”. Ma l’ omicidio è trascendentale».) L’ autore individua in Socrate colui che introduce nella filosofia la figura dell’ assassino. Nella suo morire assassinato, nella sua volontà di sperimentare nel suo stesso corpo l’ atto di ricevere la morte, egli mette in risalto la figura dell’ esecutore del delitto chiamandolo addirittura «benefattore»; un sicario a cui viene delegata la missione di svelare le componenti metafisiche del delitto insieme al suo mistero. Sgalambro, attraverso un fitto dialogo con Isabelle, pone quindi il problema del delittoe della sua credibilità filosofica citando Hegel («È vedere nel criminale se non questo concetto astratto per cui egli è un assassino, e con questa semplice qualità cancellare in lui tutta la sua essenza umana»), Nietzsche («Socrate mi è talmente vicino che devo quasi sempre combattere contro di lui»), Aristotele (sua la distinzione tra l’ essere che muore e l’ essere che muore assassinato), ma anche figure appartenenti ad ambiti e discipline differenti: da
Nadia Boulanger a Bruno Monsaingeon, da Baudelaire a Shakespaeare. E proprio al bardo inglese, al suo “Re Lear”, fa riferimento un capitolo particolarmente denso del libro in cui l’ autore rileva come «sotto l’ apparenza dell’ apoteosi del tiranno,è l’ essenza del delitto che appare in abiti trionfali negli immortali assassini di Shakespaeare. Qui l’ assassino è un re, un principe, un eroe di cui la memoria viene conservata nella tragedia con mille cure, ora invece è uno qualsiasi, nient’ altro che roba da noir». Qui si chiude il cerchio. E come l’ anello di Moebius tutto ritorna e allo stesso tempo propone interrogativi che sono il frutto di questo pericoloso viaggio nelle zone impervie del pensiero. L’ interesse può altrettanto legittimamente passare al versante del delitto. Seguendo una legge della riflessione metafisica: il criminale non è meno straordinario del santo. Anch’ egli si fa forte della giustizia e della verità, e delle potenze induttive e deduttive. Da qui la possibilità, sia pure nella digressione del volgo narrativo, di rileggere alcune serie romanzesche, l’ una avente per eroe il poliziotto, l’ altra il criminale. Leroux, ad esempio, ha successo in questa doppia serie con Rouletabille e Chérie-Bibi. I due non si incontrano mai, animano serie differenti.
Ma Rouletabille e Chéri-Bibi, dei quali ciascuno è il doppio dell’ altro, hanno lo stesso destino, lo stesso dolore, perseguono la stessa ricerca del vero. Questo destino, questa ricerca, è quella di Edipo (Rouletabille destinato ad uccidere suo padre, o Chéri-Bibi che assiste alla rappresentazione dell’ Edipo ed urla: «Sono io!»). Dopo la filosofia, la tragedia greca. Sgalambro, da autentico filosofo, ribalta la sequenza e si spinge oltre sostenendo che in materia di delitti «la speculazione filosofica ha per lo più evitato di porsi le domande cruciali che ne derivano: quale mistero cela il delitto in se stesso? Chi è l’assassino nella sua essenza»? Solo chi ha fatto della filosofia una disciplina di vita può interrogarsi su temi così estremi. Sia pure nello spazio di un saggio che nel suo procedere per brevi capitoli diventa romanzo della modernità ed allo stesso tempo discorso sul metodo.

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