Ad Hammamet c’è solo monsieur le président. Nelle sale il nuovo film di Gianni Amelio.

Recensione di Enzo Latronico
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Sgombriamo subito il campo da ipotetici attacchi a mani pulite, l’inchiesta giudiziaria che nel 1992 portò al crollo della Prima Repubblica, da testamenti politici, relativismi storici, da rivalutazioni politiche spicciole, dal cinismo di certo cinema, e ciò che resta è “Hammamet”, il film di Gianni Amelio che ripercorre gli ultimi mesi di vita del leader socialista italiano Bettino Craxi in esilio volontario ad Hammamet. Gianni Amelio ha dichiarato, alla vigilia dell’uscita del film in un’intervista al GR1, che chiunque avesse considerato questo lavoro una critica al metodo “mani pulite” sarebbe stato un cretino. Non c’era bisogno di puntualizzarlo perché si vede benissimo.

Quello di Gianni Amelio è un finale, un finale che dura quasi due ore, non c’è infatti un inizio vero e proprio che porti lo spettatore alla fine di un personaggio politico come Bettino Craxi, nelle intenzioni di Amelio si è catapultati nella villa di Craxi ad Hammamet per raccontarci gli ultimi mesi di un uomo che è stato Bettino Craxi, non è un male intendiamoci ma è un’operazione riuscita a metà se nel ventaglio delle sue migliori intenzioni ci fosse stata anche quella di raccontarlo alle ultime generazioni. Venticinque anni di politica craxiana riassunti in qualche frase estrapolata qua e là ma soprattutto raccontata dallo stesso Craxi ad amici che si alternano ad andare a trovarlo, amici che non hanno nome ma ruoli, figli di amici, ex politici, un’amante, Craxi stesso non ha nome, è semplicemente monsieur le président, mentre l’episodio politico più importante della sua carriera è lasciato al racconto del nipotino di sette anni che lo ricostruisce meticolosamente con l’uso dei soldatini.

Non c’è nessuna assoluzione, nessuna resa dei conti morale, nessuna presa di posizione, è un film lineare che procede senza intoppi sulla via romanzata di una serie di atteggiamenti e rapporti familiari. Se la regia è asettica, al contrario l’interpretazione di Pierfrancesco Favino è sublime e spiace vedere che tutta l’impalcatura si regge sulla sua splendida prova d’attore che non imita Craxi, diventa Craxi.

E’ pur vero che ad Amelio scappa di definirlo statista ma corregge il tiro facendolo insultare, da un gruppo di turisti in gita ad Hammamet che lo riconosce, con il più classico dei classici: ladro! E’ un film, se vogliamo, fatto anche di silenzi, di respiri, di tempi dilatati, di oggetti e di cibo ma non di politica, tantomeno di storia. Il terreno è sicuramente minato ma allora perché farlo? Farlo così?

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