E se non si conosce il significato di camurria, rigorosamente con l’accento sulla i, allora consiglio la lettura delle opere del maestro Andrea Camilleri.
Ma, nell’attesa, abbiamo già troppi dolori per lasciarvi anche col dubbio sul significato del termine: camurria è la versione siciliana e indubbiamente più poetica e pregna del significato intrinseco dell’italico che palle. Che, però, non fa rima con pandemia. Io lo adotterei, fossi in voi.
Considerato che di virologi, epidemiologi, politici, strateghi, statisti, sceriffi, complottisti, scienziati (più o meno accreditati) è pieno il web, io oggi vorrei parlare con voi delle piccole rogne quotidiane che la quarantena ci ha appioppato e, se ce la faccio, mi piacerebbe anche strapparvi un sorriso.
Quanti single? Io alzo la mano.
QUARANTENA – SINGLE EDITION
Sapete chi mi ha fatto enorme compagnia in questo periodo?
Gli sbalzi d’umore, prepotenti e preponderanti, invadenti e imprescindibili. A voi, single in lettura, no?
Tipo: Oh, che meraviglia, oggi c’è il sole! – Tanto non posso uscire, che schifo.
Stare soli è favoloso, il mio sogno, lo adoro – Lo detesto, lo aborro, ma che campo a fare?
Ho tutto il tempo di pulire quelle cose fastidiose che in genere trascuro, tipo le intercapedini degli infissi! – Ma col cavolo piuttosto mi affetto le dita col pelapatate.
Adesso faccio la doccia, lo scrub, lo shampoo, la maschera ai capelli, la pulizia del viso, evviva! – Ma a che serve, io smetto anche di lavarmi, ma che mi frega.
Ora preparo una torta, stasera la pizza e faccio anche il ragù per domani. – Buone queste verdure surgelate in busta, se le lecco, i nutrimenti li assimilo, giusto?
Vado a letto – Anzi, sto sul divano – Dovrei andare a letto, sono le 3 di notte – Ma tutto sommato il divano è comodo – Però sento freddo – Ok, vado a letto, ma domani, per non sbagliare, non mi alzo affatto.
Ditemi che non sono la sola ad aver passato questi momenti, alternando immotivata euforia, rabbia incontrollata, completa apatia e settantadue diverse sfumature di crisi di pianto (disperato, affranto, collerico, stizzito, isterico, impotente, eccetera), mentre la Pausini, in sottofondo, cantava La solitudine in loop, e io analizzavo il testo e mi commuovevo al pensiero nostalgico degli ormai vietati e fetidi treni delle 7 e 30, pensando che essere scaricata da un Marco a caso sarebbe stato comunque meglio di non conoscere affatto alcun Marco per i prossimi mesi, frignando indegnamente ogni volta che aprivo il frigo e lo sguardo si posava sui limoni in decomposizione, con la consapevolezza che non avrei limonato con nessuno fino al 2021, almeno.
Vogliamo parlare, poi, di quelle pie anime che hanno iniziato a far circolare video di fitness in tutte le salse? Ma qualcuno li ha davvero usati? Suppongo di sì, e suppongo che l’unica che li ha sì guardati attentamente, ma col posteriore ben attaccato al divano e mangiando la nutella direttamente dal barattolo sia stata io (o no? Rincuoratemi, se potete). Tutorial su tutto: Yoga in sala da pranzo – Pilates sul bidet – Cardio in soggiorno – Karate nello sgabuzzino – Diventa Simone Biles in cantina! (meno male che non ho una cantina, altrimenti avrei poi fatto un tutorial, tipo: Spaccati entrambi i femori mentre cerchi di fare cose fuori dalla tua portata!). Avessi fatto mezzo esercizio, dopo averli tutti pedissequamente esaminati. Che umiliazione.
E il lato estetico? Come non trattarlo, soprattutto dopo aver scoperto che, fra le personalità più importanti della mia vita, vi sono sicuramente parrucchiera ed estetista. Quanto mi mancano.
Mi sono crudamente scontrata col fatto che la routine della cura di me stessa è un processo talmente armonico che se lo lasci andare per due settimane, finisce tutto gloriosamente alle ortiche, e ti ritrovi con una capigliatura che sembra figlia dell’incesto fra Crudelia Demon e un cespuglio di rovi. Per altro, non ho il coraggio di ovviare con una tintura homemade, perché l’ultima volta che l’ho fatto, ho erroneamente lesionato il contenitore della tinta (mogano) e quando l’ho spremuto, pensando che il colore mi sarebbe finito sulla capoccia, quel maledetto è schizzato in perpendicolare, dritto sulle tende bianche ricamate a mano da mia madre.
Inutile dire che, alla fine, io avevo ancora i capelli bianchi -sicuramente qualcuno in più-, e le tende sembravano la sede di una cruenta macellazione di essere umano. Quindi, amen, ho pensato di tenermi i capelli bianchi. E tutto sommato, prendendola con filosofia, ho sempre amato i capelli lunghi.
Molto lunghi. Anche se diventare una sorta di Rapunzel dalla chioma crespa non era esattamente nei miei piani. E anche passare, per sbaglio, una ciocca -molto lunga- sopra un fornello e puzzare di piume di pollo bruciate non era esattamente una cosa che avevo preventivato. Ma va bene. Va tutto bene. Andrà tutto bene. Prima o poi riuscirò a tornare da un parrucchiere e, se sono fortunata, sarà così felice di lavorare di nuovo, che, magari, non mi frusterà con una piastra GHD. Calda. Speriamo.
E veniamo al gravoso problema dei peli. Io lo so che mi capite. Lo so che state annuendo, con le lacrime agli occhi, pensando a quanto siete state incaute e sciocche a volervi laureare come le cretine, quando avreste potuto fare le estetiste e salvarvi da sole, in questo momento difficile. Invece niente. Siete lì con uno strumento, della cui esistenza siamo tutte grate, ma che sicuramente è stato inventato dal demonio: il silk épil. MA IL MALE MAIALE CHE FA? Parliamone, vi prego, scrivetemi, confortatemi, confrontiamoci. E’ un rock acrobatico di peli e testine, fra i nostri urli di dolore.
E finché si parla di braccia e gambe, si sfanga. Ma parliamo dei piani bassi. Ammettetelo, che iniziate piene di buone intenzioni e poi lo lanciate via, gridando: al diavolo, una bella acconciatura punk è esattamente quello che volevo!
E mi limito a sorvolare sulle mie sopracciglia, che ormai convivono armonicamente nella consapevolezza di essere diverse, perché io non ho capacità di simmetria.
O dei baffetti, che con le strisce depilatorie a freddo, ci vado talmente delicata che fanno prima a ricrescermi i peli che a passarmi i brufoli da depilazione.
E, infine, le unghie. Sorelle della grande famiglia del semipermanente, abbracciatemi -virtualmente-, vi prego. Perché, in due anni di semipermanente, io, a fine febbraio, ho scelto l’unico colore che, tornando a casa dallo studio dell’estetista, ho pensato: “Beh, non mi fa impazzire, ma pazienza, tanto fra tre settimane lo cambio”, e INVECE NO. Te lo tieni, questo blu opaco del piffero, che dal non farti impazzire è passato proprio a farti schifo, te lo tieni, con in più, in omaggio, una ricrescita di mezzo centimetro.
Ed è stato qui che ho avuto il primo mental breakdown della quarantena. Ero partita anche bene, leggendo istruzioni su internet, avvolgendo batuffoli di cotone imbevuti di acetone su ogni unghia e impacchettando tutto graziosamente con la carta stagnola. E, dopo venti minuti, lo smalto sarebbe dovuto venire via. Sarebbe.
Perché, invece, non si è tolto manco un millesimo di niente. NIENTE. E allora, cedimento cerebrale, ho agguantato una lima, l’unica che avevo, e ho iniziato a raschiare con l’entusiasmo di psycho killer, mentre un sorriso isterico mi guardava dallo specchio e le dita iniziavano a sanguinare. Alla fine, non avevo più delle unghie, ma delle bucce di cipolla. Ho mandato una foto all’estetista, che mi ha giustamente e copiosamente insultato. Però, ehi, ho eliminato quel dannato blu opaco. Niente che 27 euro di olio ristrutturante e smalto rinforzante, con un mese di pazienti applicazioni, non abbiano potuto risolvere.
Però, io tutto bene. E voi? Attendo vostre. Alla prossima!
Giulia Argento, Agrigento (Sicilia)
No ironia? Ciaone.
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