La vicenda giudiziaria di Chico Forti, tanti i dubbi e gli interrogativi

Dopo il servizio di aprile trasmesso dalla CBS negli Stati Uniti il caso del surfista Chico Forti approda a “Le Iene” su Italia Uno, il programma di inchieste della rete Mediaset.
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La storia di Chico Forti, l’imprenditore trentino che sta scontando l’ergastolo nel carcere di Miami dopo la condanna per l’omicidio di Dale Pike, avvenuto il 15 febbraio del 1998, è emblematica di come la giustizia, a volte,  possa generare dubbi e perplessità sui meccanismi che determinano le sentenze.

Sulla responsabilità di Chico Forti in questo delitto, infatti, sono tantissimi i dubbi che aleggiano presso l’opinione pubblica.  Colpevole di omicidio o vittima di un terribile errore della giustizia americana? E’ questo l’interrogativo che si pongono in tanti nei confronti della vicenda giudiziaria di Enrico, per tutti Chico, Forti, trentino, campione di windsurf e di vela, prima di diventare imprenditore televisivo.

Chico Forti, 60 anni, coniugato con tre figli,  dal 1992 risiede in Florida dove ha trascorso gli ultimi diciannove anni chiuso nel carcere di Miami, dove sta scontando l’ergastolo dopo la condanna (nel giugno del 2000) al carcere a vita da parte di una giuria popolare.

La dinamica della vicenda è nota: Dale Pike, figlio di Anthony Pike, proprietario di un hotel a Ibiza, grazie all’intermediazione di Thomas Knott, un tedesco che viveva negli Usa, era entrato in contatto con Chico Forti al quale voleva vendere il suo hotel che, a quanto è emerso successivamente, non era più di sua proprietà. Un tentativo di truffa quindi. E’ il 15 febbraio del 1998, quando viene ritrovato il cadavere di Dale Pike, in un boschetto al confine con la spiaggia vicina al ristorante dove si era recato con l’imprenditore italiano. Il corpo del giovane seminudo, ucciso con due colpi di pistola calibro 22 sparati alla nuca,e intorno alcuni oggetti tra cui una scheda telefonica dalla quale si ricava che le ultime telefonate erano state fatte proprio a Chico Forti.

Le accuse all’imprenditore italiano, per altro non sostenute da alcuna prova, compresa quella del DNA che è risultata negativa, si basano su prove circostanziali molto tenui. La stessa Corte, d’altronde, ha ammesso di non avere acquisito prove certe sulla colpevolezza di Forti, e non ha avuto alcun esito nell’ammettere che il giudizio si è formato sulla base di sensazioni e indizi molto risibili. Non è stata trovata l’arma del delitto. Il movente è decaduto. Non ci sono testimoni né tanto meno impronte. Insomma, c’è il ragionevole dubbio che la condanna sia stato frutto di elementi emotivi e di sensazione piuttosto che su prove certe e indizi certi.

La vicenda ha suscitato diverse reazioni e anche sui social sono nati diversi gruppi a sostegno dell’innocenza di Chico Forti, attraverso sottoscrizioni e appelli per sensibilizzare le autorità america affinché il caso sia riesaminato e valutato in modo oggettivo.

 

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