Gli 80 anni di Paolo Borsellino tra ricordi e rimpianti

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Gentile Paolo Borsellino,

vogliamo farle  gli auguri per il suo 80esimo genetliaco (siamo certi che preferisce questa parola, cosi arcaica e dotta, al posto di compleanno), anche se la sua parabola terrestre si è conclusa il 19 luglio del 1992, in un assolato e sonnolento pomeriggio palermitano, alle soglie della casa della sua adorata madre, proprio nel momento in cui lei si accingeva a suonare il campanello per avvertire della sua presenza. Non volle rinunciare a quella visita cosi sentita, non certo frutto di abitudine, ma testimonianza di un legame filiale di altri tempi, in cui il rispetto e l’affetto erano un corpo sentimentale unico ed esclusivo. Eppure in quei giorni, scomparsi gli amici e maturati i frutti della delusione e dell’amarezza, l’angelo della morte aveva cominciato ad accompagnarla: dentro le sue ali si intravedeva il suo sguardo lucido e disperato, di chi sa di essere già stato condannato a morte ed ecco che allora  inizia la corsa a consumare la vita, a  volere vivere e sentire per l’ultima volta, ad esempio, i lineamenti di un volto amato,  la potenza dolce di un cielo azzurro, un profumo che nell’aria evochi i tempi dell’infanzia, vissuta nel quartiere popolare della Kalsa a contatto con una realtà fatta di ludiche asprezze.

In quei giorni lei visse una lunga corsa in cui il tempo della vita si riduceva man man che si avvicinava il traguardo della morte. Lo fece col suo solito stile; con quella serietà e consapevolezza che sono qualità sempre più rare  negli uomini, con un distacco ascetico non scevro di paure o inquietudine. Eppure non perse mai la rotta del suo viaggio. Da “guardiano di giustizia” prima che da rappresentante dello Stato, quello Stato che non le aveva manifestato  gratitudine negli anni passati e che rivelerà  tutte le sue ambiguità e collusioni in futuro. Lei, ne siamo certi, non credeva più in quello Stato, ma allo “Stato” come immagine di una comunità autentica e giusta. A quel modello lei dedicò la sua vita e modellò la sua morte. Una immagine ideale, un luogo dello spirito, in cui si forgia un essere umano che vuole ritenersi degno di definirsi tale. Questo modello archetipo, così come la città di Dio di Agostino, le diede la forza di portare fino in  fondo la sua missione in questa terra martoriata ed aspra. Lei continuò cosi quella ultima corsa contro il tempo, per modellare una società rinnovata in cui la speranza avesse credito e accesso. Partecipò a dibattiti, come testimone infallibile, rilasciò interviste, continuò il suo prezioso lavoro come se nulla fosse, come se la vita le avesse concesso una infinita proroga. Ma noi abbiamo solo la possibilità di modellare il tempo che ci è concesso. Cosi eccoci ritornare a quella domenica pomeriggio. A pochi metri dal campanello di casa, nel momento supremo del ritorno, ecco la potenza della bomba. In quell’attimo, veloce come il fuoco e il fumo che avvolsero via d’Amelio e parte della città, la sua mente corse libera nelle praterie del cielo. Rivide probabilmente, come in un vecchio film, i capitoli della vita ormai trascorsa, in quel tempo senza tempo che è l’attimo di un brusco passaggio. Rimase nell’aria il rimpianto di non potere diventare il nonno dei suoi nipoti che, di li a poco, sarebbero venuti alla luce. Eppure siamo certi che vagando tra i corridoi di quel cielo, il suo sorriso si sarà certamente riaperto al pensiero che comunque la sua vita è stata vissuta, malgrado tutto e tutti i dolori, in perfetta aderenza alla sua volontà, fino in fondo, felice di essere un uomo.

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