Il “regime virale” e un modello di normalità dimenticata.
Un “regime virale” ha rovesciato il nostro modello di normalità. L’idea del superfluo che diventa necessario, paradigma monolitico dei nostri tempi, si sta ribaltando riconducendo la verità nel suo opposto, relegandola a margine di tante esistenze segnate dalla nevrosi e dalla fuga da se stessi. Il vecchio tempo, conclusosi cronologicamente qualche settimana fa, ci sta riconducendo verso una normalità dimenticata, esorcizzata dalla nevrosi contemporanea con gesti meccanici, tempi di produzione obbligati, esposizioni virali che servivano solo a certificare la nostra intima qualità di “esseri sfuggenti”. La “razza dell’umanità sfuggente”, adesso, deve fare i conti con un imprevisto ritorno alla normalità. La nevrosi e il consumismo, come è noto, sono alleati e compagni. La smania di acquistare cose nuove, nuovi giochi, nuovi capricci è la caratteristica di un tipo umano non unito ed unitario nell’interno ma spezzato, agitato, perennemente insoddisfatto ed alla ricerca di qualcosa che almeno momentaneamente e artificiosamente fermi la tensione interna. Il superfluo diventa necessario. Superfluo per noi, per il nostro modo di vivere. Molti si vantano di non potere stare senza lavorare – a parte ovviamente quel lavoro che serve a produrre il reddito necessario per la soddisfazione del fabbisogno -. Ma che significa non potere stare senza lavorare? E qui entra in campo la differenza fra lavoro e azione, azione che è manifestazione esterna della propria natura e non necessariamente lavorare che è soltanto, in prevalenza, un penoso tributo che si deve pagare all’ansia di guadagnare, anzi accumulare.
Il non potere stare senza lavorare (in questa accezione) nasconde l’incapacità di stare fermi, di raccogliersi, e denota l’avere continuamente bisogno di dimenticarsi. Il dire di non potere stare senza lavorare nasconde vari elementi di una certa psiche che per essere sviscerati non basterebbero mille trattati.
La pandemia ci insegna, per dirla con i latini, che “ars longa, vita brevis”. E breve ci sembra quel tempo trascorso fra i frastuoni di una frenetica attività che non ci consente di stare con noi stessi, e per prendere coscienza delle mille possibilità che la vita ci può offrire.
Forse questi tempi “di guerra” ci potranno insegnare tante cose, come per esempio mettere al loro posto concetti come lavoro, azione, contemplazione. Concetti che sono stati rovesciati nell’epoca moderna. Di fronte a chi si agita e ricerca tutto nell’esteriorità di una vita, la lezione di questo tempo è quella di fermarsi, di ricongiungersi al proprio centro interno e di ritrovare, in se stessi, la ragione fondante della vita. Essere sempre pronti al cambiamento, consapevoli dell’impermanenza del tutto, sono questi i principi che contano veramente. Questo non vuol dire abbandonare le proprie responsabilità o non prendersi cura dei problemi. Semmai il contrario, vuol dire acquisire una maggiore consapevolezza, gestire in modo intelligente la propria energia per fare al meglio la propria parte.
In questi tempi oscuri, la luce è dietro l’angolo. La natura si rigenera, l’aria diventa più pura e raffinata, le nostre città respirano e gli animali recuperano il loro posto nell’ordine naturale delle cose. L’uomo intanto deve affrontare un virus, che è uno specchio di se stesso, da dove deve imparare a guardare il meglio, scartando la sua natura bestiale, e potersi disporre ad apprendere la grande, terribile lezione che questo tempo sospeso ci sta impartendo. Riuscirci è il nostro compito più importante.
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