Il regista Antonio Bido, un nuovo film ispirato ai “noir” degli anni ’40 per il grande pubblico
Il cinema a volte tradisce il suo statuto magico e rivela una perfetta sintonia con il mondo del sogno e dell’inconscio. L’idea filmica se forte, intelligente e accuratamente programmata, supera i labili confini del tempo e dello spazio e acquista una sua “immortalità”, nonostante la labilità del mezzo, la sua natura apparentemente effimera. E tutto questo persiste malgrado le mode, le infinite contaminazioni dell’immagine, il suo riprodursi attraverso piattaforme sempre più evolute e tecnologicamente raffinate.
Nella sempre più ristretta galleria del cinema d’autore italiano, vi sono registi che ancora oggi sono in grado di suggerire modelli intelligenti ed eversivi in opere che, se pur datate (solo cronologicamente), si possono considerare dei capisaldi di un modo di pensare, scrivere e girare film che, in un Paese normale, dovrebbe essere assunto come modello esemplare per chi si volesse avvicinare a questa professione. E’ il caso di Antonio Bido: sceneggiatore e regista dal forte credito internazionale, le cui opere spaziano dal thriller (“Solamente nero”, “Il gatto dagli occhi di giada”) raffinato ed elegante, alla commedia ironica (“Barcamenandoci”) per approdare ad opere “mainstream” quali, ad esempio, “Mak n100” in cui lo spleen sentimentale viene proposto con una sensibilità moderna ed essenziale e “Blue Tornado”, un film d’azione con importanti attori internazionali quali Patsy Kensit, Dirk Benedict e David Warner, dove Bido riesce ancora una volta a coniugare spettacolarità e introspezione.
L’opera di Antonio Bido, al netto dei generi che ha frequentato, è molto più complessa e articolata e si sviluppa lungo una linea inedita, perturbante, che cerca di porre problemi etico/estetici scardinando la pigrizia interpretativa dei critici tradizionali. Basti pensare che nella sua carriera ha diretto film sperimentali e indipendenti (“Dimensioni”, “Alieno da,”), filmati spettacolari per Esercito, Marina e Aeronautica (molti dei quali si sono aggiudicati importanti premi internazionali); ha inoltre collaborato con Giuseppe Ferrara (in qualità di operatore nei suoi documentari e di aiuto regista nel film “Faccia da spia”) e via proseguendo con una intensa attività documentaristica in cui la passione e la tecnica si sono sempre coniugate ad una ricerca espressiva forte e originale come dimostrano i nuovi videoclip di musica classica che Bido ha realizzato in questi ultimi anni (“Danza Macabra”, “Mendelsshon al museo ebraico di Berlino”, Marcia funebre di una marionetta”) dove continua a sperimentare nuovi e arditi linguaggi cinematografici.
Nelle opere di Antonio Bido, anche in quelle più acerbe (basti pensare al suo primo cortometraggio di fiction del 1963 “Le avventure di Tom Sawyer”girato a 13 anni in 8mm. ) c’è sempre una capacità rara di dosaggio di tutti gli elementi che sono a disposizione di un regista: il tempo, i microtempi, i movimenti che scandiscono l’azione, l’uso della luce, la capacità di usare differenti e paralleli registri narrativi. Non trascurando il fatto che alla base, ovvero in fase di scrittura, si evince una particolare attenzione nel descrivere e dettagliare personaggi e azione, location e tempi di narrazione.
Lungi dall’immaginarlo come regista da “storicizzare”, Antonio Bido è più che mai presente sulla scena. E’ recente la pubblicazione della sua autobiografia per immagini intitolata “I miei sogni in pellicola”, realizzata come una docufiction(9 episodi da 30’ l’uno) in cui si alternano scene ricostruite con attori, chiacchierate con registi, attori e musicisti molti dei quali hanno fatto grande il cinema di genere italiano degli anni 70 (da Dario Argento e Pupi Avati, passando per Stelvio Cipriani, Claudio Simonetti, Lino Capolicchio, Stefania Casini, Antonio Tentori, Ruggero Deodato, Sergio Martino, Lamberto Bava e molti altri )
“ L’idea di ricostruire per immagini, anziché in cartaceo, la mia biografia – scrive Antonio Bido in premessa al progetto – mi ha stimolato dunque non solo o semplicemente a “ricordare”, ma a “dar vita” ai ricordi attingendo dall’immenso archivio foto-cinematografico della mia vita professionale e non. Un’occasione questa che mi ha permesso di ricostruire aneddoti, esperienze e momenti significativi, diventando regista di me stesso e “intervistatore” informale di amici e colleghi. Una vera e propria sfida quindi, alla quale ho risposto con entusiasmo e con la speranza che ne possa nascere un prodotto non solo accattivante e professionalmente ineccepibile, ma anche utile a chi, giovane e spinto dalla mia stessa passione, si sia caparbiamente messo in testa di voler fare ‘da grande’ il regista.”
Per chi invece volesse approfondire il primo Antonio Bido, giovane e promettente cineasta padovano dal piglio anti-strutturalista, suggeriamo il dvd “Antonio Bido. Early films” contenente i suoi primi lavori: “Dimensioni” e “Alieno da”. Opere dal forte impatto visionario, non prive – ancora oggi – di un forte fascino disturbante e suggestivo.
Ciliegina sulla torta di questa rinnovata presenza del regista padovano sulla scena, il nuovo progetto di lungometraggio dal titolo “Clara la prima moglie”. Un film che vede protagonisti Lino Capolicchio e Stefania Casini, attori molto attivi sulla scena del cinema italiano e interpreti del già citato “Solamente nero”.
La storia racconta di un tragico passato che ritorna a turbare l’esistenza solitaria di un anziano scrittore di thriller di successo. Nevrotico al limite della psicosi, è preda di allucinazioni e visioni terrificanti, talvolta così “realistiche” da fargli accettare di incontrarsi con una medium misteriosa. Quella donna enigmatica e conturbante sembra sapere molto della sua vita, persino cose che lui per vent’anni ha tenacemente rimosso
Con “Clara la prima moglie” – sottolinea il regista – vorrei affrontare il genere “noir” nella sua eccezione più nobile, rifacendomi cioè a grandi esempi di questo cinema degli anni 40 (per es.“L’infernale Quinlan”di Orson Welles), ovviamente rivisitandolo a mio modo. Poter continuare a sperimentare nuovi linguaggi, è il mio obiettivo per la realizzazione di questo film. Ritengo infatti che il cinema possa ancora esprimere qualcosa di nuovo senza per questo dover realizzare opere destinate a pochi spettatori di nicchia. Sarà una scommessa che spero di poter vincere.”
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