La natura secondo l’Islam, le affinità col cristianesimo oltre i pregiudizi

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Nella Tradizione islamica la natura si rivela agli uomini come corpo vivente della Divinità. Il Principio spirituale – secondo il Corano (VI:142) – ha inviato i venti, “annunciatori e precursori della Sua misericordia” e “..soggiogato agli uomini quel che v’è nei cieli e quel che c’è sulla terra “(XLV:13). La centralità dell’uomo, in questa trama sottile, è fuori discussione: Egli, infatti, nel compimento della sua realizzazione, riafferma il suo “celeste Vicariato” e rende vivente ciò che prima poteva apparirgli in sembiante di metafora. Le geografie dello spirito, per chi le volesse percorrere, richiedono senso pratico (Bacone docet), retta intenzione, disciplina e…persino astuzia (virtù sublime da non confondere con la volgare intelligenza del cretino oggi così diffusa). La natura, scrigno di segrete energie, propone una via di riforma interiore che

sublima in una sorta di “Magnificat” le cui affinità con la nota formula islamica (“In nome di Dio il misericordioso e il compassionevole) sono evidenti. Nel suo richiamarsi all’idea di germinazione della terra, infatti, essa riconduce la natura umana alla radice di seme terrestre che deve risorgere come spirito incorruttibile. Solo l’avvio di questo processo di “nigredo”, di ridicola “tendenza della carne” (S.Paolo ci soccorre), annulla il sentimento ridicolo dell’autocoscienza, consente l’approdo all’impersonale, pone in essere un’azione ascetica salutare e, dulcis in fundo, si adegua compiutamente a quel principio Coranico (I.VIII) che recita: “Se qualcuno ritiene di sapere una cosa, non ha ancora imparato in qual modo convenga saperla”. Ecco il punto. Non può esistere una percezione della natura che prescinda da una disposizione Sub specie interioritatis; poichè, in caso contrario, ci si allontana dalla libertà per accogliere in se stessi una comoda e scintillante prigione. L’attività dei nostri contemporanei – così affine al movimento dei vermi Hegeliano – nega la necessaria e armoniosa passività – rispetto al principio metafisico- negando, di conseguenza, il suo essere parte dinamica rispetto alla sua manifestazione. Nel cosmo e nell’uomo in armonia la passività è un elemento dell’ordine, essa sola può quietare il costante ondeggiamento fra una contrapposizione del bene al male e un benefico gioco di opposti complementari. In tempi di furori oscurantisti, a cui si contrappongono indecenti metafore ecologiste, pesano le parole sapienti di Ibn Taymiyya nei suoi scritti riguardanti l’economia. L’atto di piantare un albero è considerato meritorio perchè non ne discende ricompensa (come se fosse un’elemosina). La bellezza dell’atto, per meglio dire la sua giustificazione, risiede in una sfera giuridica in cui il diritto originale di proprietà (riconducibile al divino) si estende a colui che ha avuto la pazienza di curarlo, di renderlo prospero di frutti.

Omar ibn Al-Khattab, secondo Califfo dell’Islam e compagno di Muhammad soprannominato il Principe dei Credenti, appoggiandosi ai detti del Profeta disse: <<Chi fa rinascere la terra arida ne diventa di conseguenza proprietario. Se qualcuno ha trascurato lo sviluppo di una terra per tre anni senza mai curarla, nel momento in cui qualcun altro la cura facendola fruttificare, quest’ultimo ne diviene il proprietario>>.

In queste brevi note si è fatto riferimento ad alcuni elementi, sia di ordine naturale che giuridico, in cui si evidenziano alcune analogie tra il sufismo (ovvero la parte mistica e spirituale dell’Islam) e il Cristianesimo (è noto che vi furono contatti tra le due realtà). Le forti analogie sono evidenti in aspetti come il rispetto della natura, la formulazione di un corpus giuridico che perseguisse la più oggettiva forma di giustizia, il forte senso di verità e di rispetto per il creato che sono a fondamento di entrambe le tradizioni spirituali. Come è noto, la spiritualità non divide ma unisce: e come sosteneva un noto studioso francese di storia delle religioni, vi è sempre “un filo trascendentale che unisce l’umano al divino, a prescindere dalla religione che si professa”.

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