La violenza non colpisce un solo genere, in aumento gli uomini maltrattati da donne

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Contrariamente a quanto si pensi, ogni anno sono tantissimi gli uomini che subiscono violenza che spesso per vergogna o paura di non essere creduti, non denunciano.

 

Negli ultimi anni le vittime di violenza sono aumentate. Quando parliamo di vittime non dobbiamo immaginare soltanto i più brutali casi di cronaca in cui azioni odiose sfociano in un omicidio. La violenza, infatti, ha mille declinazioni, tutte deplorevoli e capaci di distruggere la vita e l’identità di un essere umano, donna o uomo che sia.

Se è vero che la nostra società è ancora permeata da un substrato culturale maschilista e sessista, dove evidentemente le donne sono maggiormente colpite, risultano in aumento i casi di uomini maltrattati che spesso, per paura di non essere creduti o per vergogna, non denunciano.

Sono note le statistiche dalle quali si evince che le violenze maggiori avvengono in un contesto familiare, dentro le mura domestiche. Quando pensiamo a questo aspetto, inevitabilmente, immaginiamo potenziali vittime donne perché in qualche modo il sentire comune ci induce a farlo. Ma molte volte non è affatto così. Anche al di fuori della vita privata, esistono dati piuttosto allarmanti che riguardano nella fattispecie le molestie e i ricatti sessuali nel lavoro.

Nel 2018 l’Istat ha pubblicato uno studio dal quale emerge che sono 8 milioni 816mila (43,6%) le donne fra i 14 e i 65 anni che nel corso della vita hanno subito qualche forma di molestia sessuale e si stima che sono 3 milioni 118mila le donne (15,4%) che le hanno subite negli ultimi tre anni.

Ma per la prima volta il campione riguarda anche le molestie nei confronti di uomini. Si stima che 3 milioni 754mila uomini le abbiano subite nel corso della loro vita (18,8%), 1 milione 274 mila negli ultimi tre anni (6,4%). Sempre secondo i dati raccolti dall’istituto di statistica, gli autori delle molestie a sfondo sessuale risultano in larga prevalenza uomini: lo sono per il 97% delle vittime donne e per l’85,4% delle vittime uomini.

Se le statistiche continuano a delineare un margine piuttosto consistente tra il genere delle vittime, bisogna considerare altri aspetti che non sono di certo di minore importanza.

Ogni tre giorni in Italia un uomo è vittima di denunce poi rivelatesi false.

Tra i reati più inflazionati nelle accuse-denunce, che si sono rivelate false, ci sono lo stalking al primo posto (34%), seguito a distanza dallo stupro (23%) e dai maltrattamenti (17%). Tutti e tre sono tra i reati denunciati più soggetti ad archiviazione o assoluzione da parte della magistratura, con picchi assoluti per lo stalking e i maltrattamenti e una quota più limitata per lo stupro.

Leggendo l’elenco dei reati denunciati si ottiene un quadro davvero importante. Le donne che tentano di “incastrare” un uomo tendono a denunciarli per reati quali, oltre a quelli sopra esposti, percosse, abusi su minori (vittime spesso ne sono l’ex da cui la donna si è separata o dal quale è stata lasciata), le lesioni e le molestie.

I pregiudizi legati all’immagine del maschio spesso fanno sottovalutare la violenza femminile sul sesso opposto.

Ma è una violenza reale, che malgrado sfoci raramente in un omicidio, comprende forme invisibili di brutalità devastanti: umiliare, svalorizzare, ignorare, colpevolizzare, disprezzare, ricattare emotivamente, disprezzare e mortificare anche sessualmente il partner.

Una delle poche indagini effettuate in Italia e che è praticamente passata inosservata, è stata effettuata dall’Università di Siena nel 2012, su un campione di uomini tra i 18 e i 70 anni. Questo studio, nel 2011 sarebbero stati oltre 5 milioni gli uomini vittime di violenza femminile configurata in: minaccia di esercitare violenza (63,1%); graffi, morsi, capelli strappati (60,05); lancio di oggetti (51,02); percosse con calci e pugni (58,1%). Inferiori (8,4%) gli atti che possono portare alla morte, rispetto a quelli subiti da donne.

Una differenza considerevole, motivo per cui probabilmente c’è la tendenza a dare maggiore attenzione al femminicidio. L’indagine condotta a Siena racconta di altri metodi di esercitare violenza da parte di donne nei confronti del partner: tentativi di folgorazione con la corrente elettrica, investimenti con l’auto, mani schiacciate nelle porte, spinte dalle scale.

Dai dati emerge inoltre che, così come gli uomini anche le donne – allo stesso modo – usano forme di violenza psicologica se pur con dinamiche diverse: critiche a causa di un impiego poco remunerato (50.8%); denigrazioni a causa della vita modesta consentita alla partner (50,2%); paragoni irridenti con persone che hanno guadagni migliori (38,2%); rifiuto di partecipare economicamente alla gestione familiare (48,2%); critiche per difetti fisici (29,3%). Insulti e umiliazione raggiungono una quota di intervistati del 75,4%; distruzione, danneggiamento di beni, minaccia (47,1%); minaccia di suicidio o di autolesionismo (32,4%), specialmente durante la cessazione della convivenza e in presenza di figli, spesso utilizzati in modo strumentale: minaccia di chiedere la separazione, togliere casa e risorse, ridurre in rovina (68,4%); minaccia di portare via i figli (58,2%); minaccia di ostacolare i contatti con i figli (59,4%); minaccia di impedire definitivamente ogni contatto con i figli (43,8%).

Se i dati non fossero così allarmanti, e parliamo di casi di violenza e denunce sempre crescenti (con un numero più consistente da parte di donne) non ci sarebbe stata la necessità di istituire il cosiddetto “Codice Rosso”. Il testo modifica la disciplina penale, sia sostanziale che processuale, della violenza domestica e di genere, corredandola di inasprimenti di sanzioni.

La polizia giudiziaria dovrà comunicare al magistrato le notizie di reato di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate avvenute in famiglia o tra conviventi e la vittima dovrà essere sentita dal pm entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato.

Oltre a questo sprint nelle procedure sono state inasprite le pene per alcuni reati:

Violenza sessuale. Le pene salgono a 6-12 anni rispetto a oggi, quando la reclusione minima è di 5 anni e quella massima di 10. La violenza diventa aggravata in caso di atti sessuali con minori di 14 anni a cui è stato promesso o dato denaro o qualsiasi altra cosa utile.

Stalking. La reclusione passa dai 6 mesi-5 anni com’è oggi, al range del minimo di un anno al massimo di 6 anni e sei mesi.

Maltrattamenti in famiglia. Per maltrattamenti contro familiari o conviventi, la reclusione passa dagli attuali 2-6 anni a 3-7 anni; la pena è aumentata fino alla metà se il fatto avviene in presenza o ai danni di un minore, di una donna in gravidanza, di un disabile oppure se l’aggressione è armata.

Sfregi. In caso di aggressione a una persona, con lesioni permanenti al viso fino a deformarne l’aspetto, il responsabile è punito con la reclusione da otto a quattordici anni. Se lo sfregio provoca la morte della vittima, scatta l’ergastolo. E per i condannati sarà più difficile ottenere benefici come il lavoro fuori dal carcere, i permessi premio e le misure alternative.

Nozze forzate. Introdotto grazie a un emendamento di Mara Carfagna, punisce chi induce un altro a sposarsi (anche con unione civile) usando violenza, minacce o approfittando di un’inferiorità psico-fisica o per precetti religiosi. La pena va da uno a cinque anni, sale a 2-6 anni se coinvolge un minorenne ed è aggravata della metà se danneggia chi non ha compiuto 14 anni al momento del fatto.

Revenge porn. Chiunque invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda foto o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito di una persona senza il suo consenso, rischia da uno a sei anni di carcere e una multa da 5000 a 15.000 euro. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o acquisito le immagini, le invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso dell’interessato per danneggiarlo. La pena viene aumentata se l’autore della vendetta è il coniuge (anche separato o divorziato), un ex o se i fatti sono avvenuti con strumenti informatici.

A questo punto la speranza è che le procure e le forze dell’ordine siano messe in condizione di lavorare e che quindi il personale di cui c’è carenza, possa essere inserito, rafforzando gli uffici e permettendo loro di lavorare con la massima serenità. Questo compito spetta alla politica, che non può limitarsi a varare le leggi ma deve rendere applicabile nella realtà ciò che sulla carta potrebbe essere un aiuto concreto alle tante persone – donne e uomini – che ogni giorno si ritrovano a vivere situazioni complesse e ad alto rischio. Vedremo.

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