L’invasione dei deepfake. Chi ci difende dalla manipolazione digitale?

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In una società in cui la verità reale e la sua copia virtuale si confondono sempre più, diventa sempre più serrato il dibattito, spesso declinato in accese polemiche, sui cosiddetti “deepfake”, ovvero dei video realizzati utilizzando l’intelligenza artificiale con l’obiettivo di modificare i contenuti originali in un contest visivo che riproduce perfettamente il reale.
La recente messa in onda del video in cui Matteo Renzi prende in giro i suoi avversari politici con gesti poco ortodossi, è solo l’ultimo prodotto di un software che, di fatto, è in grado di produrre e moltiplicare con immagini reali contenuti che tali non sono. Insomma, si presenta come autentico qualcosa che in realtà non esiste. Il fatto che si possano alterare immagini e contenuti di un video, apre una prospettiva inquietante soprattutto quando a subire questo “furto d’immagine” sono uomini delle istituzioni ai quali possono essere messe in bocca frasi ed espressioni pericolose, delle bufale ad alto potenziale che possono risultare perfettamente credibili e influenzare decine di milioni di cittadini. Si passa quindi dal semplice intrattenimento, o dalla normale dialettica politica, alla possibilità di mettere in campo uno strumento di comunicazione potentissimo che fa leva sulla “pigrizia cognitiva” degli utenti. Una sorta di ipnosi collettiva che consente la circolazione di idee e contenuti predeterminati. La pratica di diffondere contenuti deepfake è sempre più invasiva, con il risultato che è sempre più difficile distinguere questi falsi dai contenuti reali. Anzi, secondo gli esperti di computer science dell’University of South California, sarà sempre più
difficile distinguere tecnicamente i video deepfake da quelli reali, al punto che risulta sempre più difficile individuare elementi di contrasto sia sul piano normativo che su quello tecnologico. Alcune proposte puntano sulla possibilità di rafforzare il senso di software ethics, in modo da indirizzare l’uso in conformità con le norme contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. E’ fondamentale, in buona sostanza, che prevalgano negli hacker non solo un elementare senso di responsabilità, ma anche principi ispirati al rispetto delle persone e della comunità. Non ci resta che sperare che ad una tecnologia sempre più raffinata e spesso manipolatrice del reale, si affianchi una evoluzione dell’uomo, una maniera responsabile di utilizzarne le tante opportunità.

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