L’Italia rivelata dagli italiani sui social media

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L’Italia è, in parte, un’invenzione fotografica, un miraggio di scatti turistici e di pagine di riviste che ritraggono i decadenti palazzi veneziani, le spiagge sarde e i primi piani quasi pornografici della cremosa carbonara romana. “Pictures from Italian Profiles”, un progetto nato su Facebook e recentemente pubblicato come libro con lo stesso titolo, ci mostra qualcosa di diverso: quella che il suo ideatore, Stefano Frosini, definisce “un’Italia marginale”, andando oltre “la retorica patinata del Belpaese che finisce per cannibalizzare tutte le altre narrazioni possibili”.

Come suggerisce il titolo, il progetto raccoglie immagini dai profili social media degli italiani e, man mano che il seguito della pagina è cresciuto, immagini inviate da album fotografici e collezioni personali. Le foto sono selezionate da Frosini, insegnante ventinovenne di Pistoia, in Toscana, per la loro stranezza o improbabile bellezza. Sono fotografie senza pretese, addirittura “fatte per sbaglio o senza particolari ambizioni”, ha detto Frosini a Emiliano Ceresi in un’intervista. Ha scelto un nome inglese per il gruppo per evitare l’impressione di essere in qualche modo guidato da un patriottismo compiaciuto, e queste immagini fanno più satira e complicano qualsiasi mito nazionale che rafforzarlo.

Alcune sono palesemente autoironiche, come il tableau del poliziotto che si sottrae per un attimo ai suoi doveri ufficiali (o forse li assolve egregiamente) per sollevare il nastro di sicurezza in modo che una donna e il suo bambino possano portare a casa delle pizze, un raro scatto che Frosini dice essere stato fatto da un giornalista professionista, o le varie immagini di bambini con la sigaretta in mano (in un caso, sulle ginocchia di un prete).

Alcune sono sconcertanti, come l’indimenticabile immagine di un uomo con la maglietta dell’Uomo Ragno che fissa con finto stupore la macchina fotografica, accanto a un letto su cui si trovano decine di uova. Ma molte sono italiane in un modo che diventa sempre più significativo, e più ricco di sfumature, man mano che si trascorre del tempo nei luoghi non turistici dove la maggior parte della gente vive davvero, e si sperimentano in prima persona i battesimi e i funerali, l’odore dei pini in riva al mare, il vuoto inquietante delle grandi città nel giorno di Ferragosto, e ovunque il peso del passato. Le immagini mostrano la terrosità dei proverbi piuttosto che la lucida facilità degli stereotipi.

L’occhio di Frosini gravita verso il tipo di immagini che i suoi genitori e i suoi nonni erano soliti guardare nelle ore di pigrizia dopo un pasto festivo. La sua pagina raccoglie il materiale degli album di famiglia, immagini anonime ma vivide di “gite scolastiche, feste di Capodanno, lunedì di Pasqua, feste di compleanno dell’ultimo minuto, sagre di paese”, le occasioni in cui, scrive Frosini, “chi fotografa lo fa con sincerità, rinunciando alle tecniche di sublimazione estetica che appiattiscono il proprio gusto a un’unica norma, vista altrove e riprodotta consapevolmente”. Sebbene il progetto di Frosini sia stato reso possibile dai social media, non ne fa parte.

Piuttosto, “Pictures” si diverte con il tipo di condivisione disinibita che avveniva agli albori della pubblicazione di foto online, prima che ogni immagine diventasse un atto di auto-modellazione. Le immagini sono caratterizzate dall’imprudenza delle macchine fotografiche usa e getta e, come ha detto Frosini, da un’era precedente della fotografia digitale, quando era facile ed economico scattare centinaia di foto, ma prima che si solidificassero i copioni, le posture e l’iconografia attentamente considerata dei social media. Sebbene tutte le fotografie siano anonime, Frosini è stato attratto dalla fotografia dei non-nativi digitali, quelle persone che conosciamo tutti e che tendono a condividere troppo sia online che di persona e che, in Italia, spesso insaporiscono la loro lingua con il dialetto mentre raccontano la storia dimenticata di qualche zio furfante o una barzelletta ormai del tutto priva di senso o un’oscura faida locale di cui non si riesce a capire le cause.

C’è nostalgia in questo approccio, ma anche più di un pizzico di scherno: all’inizio, Frosini visitava la sezione commenti dei giornali online, trovava “il commento più estremo e con le maiuscole” e guardava il profilo Facebook della persona che l’aveva fatto, “perché il linguaggio è sempre un buon punto di partenza”, ha detto a Ceresi. (Frosini stesso scrive in un italiano marcatamente attento, corretto e a volte libresco).

Sebbene abbia ripensato i suoi metodi quando il gruppo è diventato popolare, soprattutto per garantire la privacy delle persone ritratte, “Pictures” non è privo di momenti brutti, in particolare nella sua rappresentazione degli anziani; a volte, la totale mancanza di arte di una foto fa sembrare che siamo semplicemente invitati a prendere in giro sia il fotografato che il fotografo. Ma, nei suoi momenti migliori, “Pictures” è caratterizzato dall’arguzia, dal dolce pathos e dall’inaspettata stranezza di Diane Arbus.

Sebbene la cronologia del libro sia ampia, passando dall’era del bianco e nero agli inizi del digitale sgranato fino al presente a ventidue megapixel, la maggior parte delle immagini risale agli anni Novanta e ai primi Duemila, quando Frosini era un bambino (è nato nel 1993). ) Frosini potrebbe anche essere il bambino che mangia un po’ di pasta nella sua cameretta disordinata mentre in TV trasmettono “Futurama”, sotto un poster degli Azzurri, la nazionale di calcio italiana, con una scatola di succo di ace sul davanzale e una piccola decalcomania di Charizard sul lato della scrivania. Foto come queste sono “tutti abissi della nostalgia collettiva del nostro Paese, correlativi oggettivi di intere fasi della giovinezza”, ha spiegato Frosini. Ha detto che, all’inizio, includeva una foto solo per “la marcata somiglianza di una persona sconosciuta con qualcuno che conoscevo”, e potrebbe facilmente essere uno dei suoi amici che, rispondendo a una sfida o semplicemente spinto dalla gioventù stessa, vola da un’altalena oltre il braccio storto di un vecchio albero nodoso, verso il futuro.

Una preoccupazione ricorrente è il contrasto tra vecchiaia e giovinezza, la dinamica sociale che caratterizza l’Italia, dove ci sono due anziani per ogni bambino. In un’immagine indimenticabile, che si trova al centro della collezione stampata di Frosini, un’anziana donna tiene con entrambe le mani una versione PlayStation 2 di Final Fantasy X sul tavolo, con un’espressione divertita sul volto. Sullo sfondo, una ragazzina – presumibilmente sua nipote – sorride e alza due pollici.

Nell’immagine polaroid nebulosa e sbiadita, la cui stessa colorazione evoca un mondo perduto, l’anziana donna fissa il suo sguardo da quello che sembra un profondo passato. Forse non ha idea di cosa stia tenendo in mano o del perché sia importante. L’immagine è divertente, come possono esserlo le manie degli anziani. Ma, allo stesso tempo, è inquietante. In un Paese sempre più gravato dal peso dei suoi anziani, e dove l’ottantacinquenne Silvio Berlusconi è in lizza per un altro mandato nazionale, la nostalgia può mescolarsi alla paura, alla rabbia, alla frustrazione e al disgusto.

I nonni di questi quadri sono a volte affascinanti ma altrettanto spesso grotteschi; spesso si trovano a disagio con la gioventù che li circonda e con lo spettatore presumibilmente giovane. L’uomo a torso nudo e con i capelli bianchi che pranza alla bolognese non sembra dire nulla di particolarmente bello; le piastrelle bianche sul muro e sul pavimento, e la porta bianca dietro di lui, non fanno che mettere in risalto il suo viso arrossato e il suo petto bruciato dal sole. In un’altra foto, un vecchio dall’aria un po’ confusa, con il suo trilby in casa, è seduto e tiene in mano un biglietto scritto a mano che recita “non devi morire”. Frosini in genere non commenta le immagini che pubblica, e in questo caso l’immagine, anche se forse divertente a prima vista, scivola rapidamente in una scomoda ambiguità.

“Pictures from Italian Profiles” svela il ventre del Belpaese, o “Bel Paese”, le brutture e lo sfinimento che ne insaporiscono il fascino. In un’immagine, le foto incorniciate di un matrimonio sono appoggiate a un cassonetto stracolmo. In un’altra, una bottiglia di passata di pomodoro da quattro soldi si trasforma in un’arma, mandando in frantumi un parabrezza. Dove è diretto il giovane che, in un’inquadratura confusa, tiene in mano un giornale in fiamme nel vagone di un treno? Le notizie erano davvero così brutte?

Forse l’immagine più eloquente è un primo piano stretto attraverso la bocca di un bidone della spazzatura, dove un giornale è parzialmente visibile sotto una marea di mozziconi di sigaretta e una lattina di Red Bull senza zucchero schiacciata. In prima pagina, una foto mostra un membro della nazionale italiana di calcio steso sul campo, incorniciato dai parastinchi rossi di un avversario. Il titolo è oscurato, tranne che per “Italia . . sogno finisce”. . . il sogno finisce”. L’immagine ricorda una foto di Guido Guidi, contenuta nel libro fotografico “Viaggio in Italia” del 1984 – un libro che, pur essendo esplicitamente incentrato sul paesaggio, ha molto in comune con “American Photographs” di Walker Evans – di un edificio fatiscente, poco più di un capannone, ottimisticamente, o ironicamente, etichettato come la Villa dei Sogni. Come i fotografi il cui lavoro è raccolto in “Viaggio in Italia”, Frosini è attratto dal luogo in cui la fantasia dell’Italia incontra la realtà vissuta, ma non tanto come viene presentata dai fotografi d’arte, quanto come viene vista o rivelata dagli stessi italiani.

Non si tratta di un’Italia “sconosciuta” o “segreta” ma, piuttosto, dell’Italia che non si potrebbe realmente visitare anche se si volesse. È l’Italia dei villaggi le cui scuole chiudono a causa del basso tasso di natalità, la cui campagna stanca è spaccata e secca o coperta da uno smog grigio. È spesso un’Italia povera, un’Italia disperata, un’Italia che puzza di fumo di sigaretta e di olio di frittura vecchio. “Ogni tanto cerco di perdermi su Google Maps, zoomando sull’Italia e scegliendo a caso qualche paesino sperduto”, ha detto Frosini a Ceresi in un’intervista. “Poi cerco su Facebook le pagine dedicate a quel luogo, alle sue fiere, alle sue attività commerciali, fino all’associazione turistica e alla pagina ufficiale della città. A volte cerco a lungo, perdendomi in un vagabondaggio infruttuoso; altre volte emergono tesori di improbabile valore e bellezza”.

Come un viaggio nell’entroterra digitale italiano, attraverso i luoghi e le scene dell’immaginario domestico del Paese, il suo subconscio visivo, “Pictures” rappresenta una sorta di risposta online a “Viaggio in Italia”, il capolinea di una lunga tradizione che, guardando ancora più indietro, affonda le sue radici nelle stampe e nelle fotografie di scene italiane che i viaggiatori portavano con sé dal Grand Tour. Ma, piuttosto che mitizzare l’Italia, “Pictures” fa spesso ironicamente, a volte seriamente, il contrario: nella loro onestà, e nel loro anonimato, queste fotografie mostrano troppo.

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