Monte Pellegrino, la montagna sacra che fu celebrata da Goethe, oggi è un cimitero di alberi
Chi ha conosciuto Palermo, ha inciso nella memoria il ricordo di Monte Pellegrino, il promontorio che chiude a Nord il Golfo di Palermo e a Sud il Golfo di Mondello, la montagna sacra che bacia il cielo e accarezza il mare. Un luogo pieno di magia e fascino, ma anche di storia e tradizione.
Goethe lo definì «il promontorio più bello del mondo», catturato dalla grandiosità e dalla dolcezza del monte. Ma Monte Pellegrino viene citato anche da Polibio perché durante la prima guerra punica nel 247 a.C. Amilcare Barca vi pose l’accampamento tenendo testa ai Romani che occupavano Panormus.
E ancora, sul fianco nord orientale si trovano “le grotte dell’Addaura” abitate nel Paleolitico e nel Mesolitico (chiuse al pubblico praticamente da allora, non si comprende perché – e sconosciute ai turisti e a moltissimi palermitani) che hanno una straordinaria importanza perché al loro interno, oltre ai numerosi ritrovamenti è possibile osservare uno straordinario complesso di incisioni rupestri che ornano le pareti, un caso unico nel panorama dell’arte preistorica. In qualsiasi parte del mondo un luogo simile sarebbe oggetto di pellegrinaggio per studiosi e turisti, una fonte certa di ricchezza per il territorio, ma non qui. Perché ci sono luoghi in cui domina un’illogica noncuranza e una sciatteria madornale, per cui si rinchiude questo gioiello unico al mondo, dietro un vecchio cancello.
Alzando gli occhi al cielo, quasi in un sussulto liberatorio, troveremo il Santuario di Santa Rosalia, patrona di Palermo. Secondo la tradizione, nel 1624 – in quel periodo la città era stata colpita da una violenta epidemia di peste – un cacciatore ritrovò casualmente le ossa della Santa nella grotta del Monte. Si dice che le reliquie furono portate in processione in città e che, al passaggio della santa, l’epidemia cessò. I palermitani elessero la Santuzza come patrona della città.
Insomma, per farla breve, stiamo parlando di un monumento intoccabile nella storia del capoluogo siciliano nonchè di uno dei monti più belli al mondo. Negli anni però, due incendi particolarmente violenti e vigliaccamente dolosi il primo nel 2007 e il secondo nel 2016, hanno creato non pochi danni. Decine di alberi sono stati distrutti e il territorio è stato vistosamente danneggiato. Da allora, però, sembra che le amministrazioni abbiano dimenticato del tutto la sua esistenza. Abbiamo provato a ripercorrere quei tornanti, per constatare se vi siano stati interventi di recupero e messa in sicurezza. Lo scenario che si è presentato davanti ai nostri occhi è stato sconvolgente. Le pendici del monte sono diventate una natura morta, cosparse di alberi stesi al suolo, spezzati e pericolanti. Il profumo di pini sembra un vago ricordo, spazzato via da un’incuria spaventosa, che mette i brividi. E poi la rabbia, perché è inaccettabile lasciare che il patrimonio naturalistico e storico di una delle città più belle del mondo, finisca così, nel silenzio più assoluto.
Vogliamo inoltre mostrarvi in sequenza ciò che è successo in questi anni, vedrete la foto del meraviglioso bosco prima che avvenissero gli incendi, dopo gli incendi e infine, come appare oggi. Non sarà difficile notare come non siano stati posti in essere interventi per la riqualificazione della zona, per la messa in sicurezza e nessun tentativo di salvare gli alberi che oggi – secchi e morti – giacciono ancora su quel pendio, distesi e inermi, come inermi siamo noi davanti a tanta inaccettabile incuria. A parlare sono le immagini che vi mostriamo e che speriamo servano a far tornare un po’ di attenzione sulla questione, ingiustamente dimenticata.
Per chi non lo sapesse, a Palermo è tradizione che ogni anno durante il famoso Festino di Santa Rosalia che si svolge il 14 luglio, il primo cittadino salga sul carro celebrativo e gridi “W Palermo e Santa Rosalia”. Un tempo questa frase aveva un valore diverso, oggi – alla luce dei fatti – si unisce ai tanti altri inutili e rituali slogan che fanno parte di un giorno qualsiasi di baccano. Perché il senso delle parole deve essere preceduto dalla validità dei fatti che – giudicate voi – sembrerebbero davvero raccontare un’altra storia.
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