Si finge suora per evitare l’arresto. Scoperta a Gallarate dopo due anni di latitanza

Secondo alcune delle suore interrogate dalla polizia, la donna fingeva di essere una "sorella in cerca di aiuto
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Una donna di Acqui Terme in Piemonte ha evitato l’arresto per due anni fingendosi suora e nascondendosi in diversi conventi nel nord Italia. Condannata a 2 anni e 4 mesi per vari reati e colpita da provvedimento di carcerazione emesso dalla Procura di Palermo è stata arrestata dalla Polizia di Stato a Gallarate (Varese), mentre era ospite del convento “Benedettine dell’adorazione perpetua del S.S. Sacramento” di Gallarate.

Secondo gli investigatori che hanno interrogato alcune delle suore ingannate, la donna telefonava ai conventi fingendo di essere “una sorella in cerca di aiuto e affermando di essere gravemente malata” cosi ha ripetutamente cambiato la sua identità passando da convento a convento. Alcune suore che l’hanno ospitata per alcuni giorni hanno raccontato che si è di presentata come nipote di una delle loro sorelle. Altre hanno detto che si è semplicemente descritta come una suora e che non ha abbellito ulteriormente la sua storia. Un altro convento ha rivelato che la donna ha persino fatto finta di essere una madre superiora. La maggior parte delle suore interrogate dalle autorità descrive la “finta suora” come una donna molto gentile che aveva guadagnato la loro fiducia.

Tuttavia, la scorsa settimana una suora di un convento benedettino a Gallarate, in provincia di Varese, si è insospettita e ha cominciato a nutrire forti dubbi sulla sua identità e ha telefonato alla polizia. Secondo la suora, le storie della donna “erano piene di contraddizioni” e in diverse occasioni ha cambiato la sua versione degli eventi.

La polizia ha affermato che la donna era in possesso di una carta d’identità rubata e portata in caserma è stata identificata come la persona condannata in Sicilia. Ora, oltre alla precedente condanna, la donna deve affrontare nuove accuse per  falsa identità.

Circa l’80% degli italiani si identifica come cattolico e il paese ha una ricca storia di criminali che usano travestimenti religiosi per eludere la giustizia. Nel 2013, uno spacciatore calabrese di 61 anni indossava la tonaca di un prete mentre importava la cocaina dalla Francia in un’auto. Per anni il capo della mafia siciliana, Totò Riina , si è vestito da prete per partecipare alle riunioni con altri membri dell’organizzazione in Calabria. Secondo la donna boss della mafia siciliana Giusy Vitale, pentita nel 2015, un altro boss, Bernardo Provenzano , si è vestito sporadicamente come vescovo durante i suoi 43 anni di fuga. Provenzano è stato infine arrestato nel 2006

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