Video hard maestra d’asilo: quando smetteremo di accusare le vittime?
La storia è sempre la stessa. Il mondo alla rovescia.
Una donna è stata violentata?
“Aveva la gonna troppo corta. È stata lei a provocarlo“.
Una moglie è stata picchiata dal marito?
“Eh.. ma lei non faceva il suo dovere.”
Una maestra d’asilo è stata licenziata (e messa alla gogna) dopo che il suo ex ragazzo ha inviato foto e video privati in una chat agli amici del calcetto, in cui il viso della donna era perfettamente riconoscibile? “Peggio per lei! Non avrebbe dovuto farlo!”
«Se si inviano certi video, si deve mettere in conto che qualcuno li divulghi». Risponde Franco, una delle persone coinvolte nella vicenda dell’insegnante.
Troppo spesso diamo la colpa alle vittime . Ci chiediamo, in primo luogo, perché hanno scattato o inviato immagini di se stessi .
Ma ora, più che mai, è necessario chiarire che il problema non è lo scambio di immagini intime tra adulti consenzienti.
Di cosa stiamo parlando?
Si chiama “revenge porn” e l’abuso si verifica quando un’immagine o un video intimo viene creato o condiviso senza il consenso della persona ripresa.
È il prendere, condividere, o minacciare di condividere queste immagini, che è sbagliato, e illegale.
Smettiamola di incolpare le vittime e trovare scuse per gli autori. Non ci sono scuse per gli abusi.
Dobbiamo educare la comunità sulla gravità di queste azioni non consensuali e criminali.
Nessuna donna è da biasimare quando l’ immagine è a lei “rubata”. È la “mentalità da branco che spaventa.
Per me, “Fai attenzione alle foto che scatti di te stesso” suona stranamente simile a “Non indossare abiti provocanti”. La violenza sessuale avviene a causa di coloro che la commettono. Non ha niente a che vedere con l’abbigliamento che la gente indossa o con le foto che si scattano privatamente.
Non fate errori: La pornografia per vendetta è una forma di violenza sessuale, con le stesse motivazioni e le stesse dinamiche di potere.
Anche qui le uniche vittime sono le donne, sono sempre loro a subire molteplici forme di vittimizzazione.
Devono anche affrontare la mancanza di anonimato, (dopo che sono già state pubblicamente svergognate, imbarazzate e maltrattate) e devono farsi avanti per difendersi in tribunale attirando ulteriore pubblicità su di se e sulle loro immagini.
Alcune donne preferiscono subire i danni in silenzio per garantirsi l’anonimato e non far parlare ancora delle loro esperienze private, In sintesi, la scelta dell’anonimato è fondamentale. Senza, il sistema di giustizia penale non solo rischia di causare ulteriori traumi alle vittime, ma potrebbe scoraggiarle a denunciare.
Proprio come la violenza domestica, fraintesa e tollerata, molte persone oggi non considerano la condivisione di immagini e video privati come un abuso. Eppure la condivisione non consensuale di immagini intime è una forma di controllo, di ritorsione e umiliazione, proprio come qualsiasi altra forma di violenza sessuale.
“Da quando quelle immagini sono uscite per la prima volta ho lasciato a malapena il mio letto“, ha detto una vittima di revenge porn “Sona andata nei posti più oscuri in cui una mente può andare. Mi sono nascosta dal mondo.”
Invece di impegnarci in una narrativa sulla colpa delle vittime che accusa i “millennial” di essere miopi, concentriamoci invece su chi perpetra questa forma di abuso che viola la privacy, umilia, provoca danni psicologici e pone fine alla carriera delle vittime.
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